Fengshan 2015: diario di viaggio
SPEDIZIONE DEL SOUs le KArst TEAM “FENGSHAN 2015”, di Francesca Onnis
Venerdì 10/04/15
Nanning
Presenti con me: Michele, Marc, Marco Gino, Paola.
La nostra avventura è iniziata ieri. Abbiamo rischiato di non partire, il nostro volo da Milano a Parigi è stato cancellato a causa dello sciopero degli assistenti di volo francesi, ma l’agenzia di viaggi ha fatto miracoli. Prendiamo un volo che parte un po’ prima di quello previsto, diretto ad Amsterdam, da lì un altro che ci porta a Shanghai dove, avendo 8 ore di scalo, facciamo un po’ di turismo. Giusto il tempo di prendere il treno più veloce del mondo, il Maglev, nella fascia oraria in cui arriva a 430 km/h. Prendiamo poi la metropolitana che ci propina le reclame pubblicitarie proiettandole direttamente sulla parete della galleria, con il mezzo in movimento. Ci gustiamo uno spiedino di frutta e verdura caramellate per le immense vie del centro e, in un locale nel quale l’unica lingua parlata e compresa è il cinese, ordiniamo una zuppa di noodles con carne e verdure, mentre parlando tra noi ci meravigliamo all’idea che una sola città possa contenere più di 24 milioni di abitanti. Subito dopo andiamo sulla sponda occidentale, Puxi, e scattiamo qualche foto al luccicante e coloratissimo skyline di Pudong, la parte orientale, con i suoi palazzi dalle forme e dalle altezze più incredibili per noi occidentali. Alla fine torniamo all’aereoporto con i minuti contati, prendendo di nuovo la metro pubblicitaria e il Maglev, che però al ritorno arriva “solo” a 320 km/h. All’aeroporto di Nanning incontriamo Mimmo, Daniele, Jean, Xuelian, Wuyun, Gilles, e le sue figlie Lilou e Cyann. C’è un autobus privato che ci aspetta. A Mimmo e a Daniele non sono arrivati i bagagli, li riceveranno tra qualche giorno quando ci raggiungerà il medico, il dott. Marco Zambelli. Anche noi abbiamo rischiato la stessa sorte allo scalo e, una volta aver corso per km dentro all’aereoporto di Shanghai, per andare a recuperarli, abbiamo anche rischiato il sequestro di tutte le batterie al litio alla dogana. Questo avrebbe significato niente trapano, niente flash, niente foto e tanti saluti anche ad alcune delle luci frontali. Sarebbe stato un grosso problema per la buona riuscita della spedizione. Per fortuna eravamo li per spiegare agli agenti di polizia aeroportuale a cosa sarebbero serviti tutti quegli attrezzi, inclusi gli sparabulbi costruiti artigianalmente dal Gino per scattare le foto, dall’apparenza più che equivoca. Una volta chiariti gli intenti, ci hanno lasciato andare con tutta la nostra preziosissima attrezzatura e ci siamo potuti imbarcare sul volo interno. Marc, Gino e Paola fanno anche in tempo a fumarsi la loro sigaretta, mentre Michele ed io andiamo a comprare delle dissetanti e meritate birre per tutti e 5 da bere durante il volo per Nanning.
Carichiamo tutto sul bus e ci rechiamo all’albergo nel quale alloggeremo solo per una notte. Lasciamo i bagagli e andiamo a mangiare un’ottima tazza di brodo di carne con noodles, alghe e verdure, il tutto accompagnato dalla leggera e gustosa birra cinese. Si chiacchera un po’. Xuelian rimane sconvolta nell’apprendere che Paola è vegetariana. Deve sembrarle una cosa piuttosto bizzarra che qualcuno possa decidere volontariamente di vivere senza mangiare la carne. Ad ogni modo, le fa preparare dal cuoco un piatto con le uova, dal quale poi ovviamente attingiamo tutti.
Rientriamo in albergo. Appuntamento per domani mattina, si farà colazione e poi si andrà a Fengshan.
Sabato 11/04/15
Da Nanning a Bala Houshan, passando da Fengshan
Presenti con me: Marc, Michele, Paola, Marco Gino, Mimmo, Daniele, Jean, Xuelian, Wuyun, Gilles, Lilou, Cyann.
Scendiamo nella hall dell’albergo e facciamo colazione con le scorte di cibo acquistate da Gilles e Jean. Condivido l’idea che se vuoi mangiare i Croissant, devi andare in Francia e se vuoi bere il Caffè, devi andare in Italia. Viceversa, al massimo mangi “cornetti” e bevi “café”. Ma se ti piace viaggiare, impari anche ad adattarti alle situazioni e ai cibi. Siamo molto fortunati, la scelta non manca, perciò opto per té caldo e biscotti. Chi prova il caffé solubile resta un po’ deluso, è praticamente impossibile trovarlo puro qua, senza l’aggiunta di latte in polvere, zucchero e additivi vari. Ci ripromettiamo di acquistarlo a Fengshan. Eh si, ci piace viaggiare e ci adattiamo a tutto, ma ahimé siamo i classici italiani pizzamafiamandolino e a colazione non riusciamo a fare a meno di qualcosa che possa almeno vagamente assomigliare all’espresso. Nessuno è perfetto.
Facciamo 4 ore di viaggio, durante le quali, alcuni dei paesaggi che ci scorrono davanti agli occhi sono da togliere il fiato. Passate le risaie, incontriamo il carso a coni. Spettacolare. Lunghi fiumi, corsi d’acqua inarrestabile come il tempo, dighe grandissime, polje enormi, terrazzati e coltivati a perdita d’occhio, bellissime pareti di calcare che si innalzano e culminano in coniche colline ricoperte di lussureggiante e selvaggia vegetazione, il nero profondo degli ingressi giganteschi. Perdo il conto dei buchi che vedo, sono tantissimi e decisamente molto più grandi rispetto a quelli liguri a cui sono abituata. Comincio a valutare l’idea che qua non dovrò passare molte strettoie. Marc sembra leggermi nel pensiero e sarcasticamente mi dice: “Uguale al Finalese, no?”. Già, ma almeno in scala 100 volte più grande.
Arriviamo all’ufficio del turismo di Fengshan, dove Jean ha il suo ufficio personale, che usa anche un po’ come magazzino speleo. Incontriamo qui alcuni degli speleo cinesi che verranno ad esplorare con noi. Scarichiamo i bagagli dal bus e consegnamo un po’ di materiale che abbiamo portato dall’Italia per il gruppo speleo di Jean. Qualcuno va a comprare il caffé solubile, qualcun’altro va a cercare una stampante per i rilievi e delle prese multiple. Facciamo qualche foto per la stampa locale e conosciamo qualche autorità. Dopodichè, si va a pranzo. Cominciamo a capire che qua si mangia benissimo e in abbondanza. Carichiamo i nostri bagagli sulle auto 4×4 a disposizione nel piazzale davanti all’ufficio del turismo e ci rimettiamo in viaggio verso il villaggio di Bala Houshan. L’autista del piccolo fuoristrada giallo in cui siamo io e Mic è veramente bravo. Mantiene la calma in qualunque situazione, nonostante le impervie strade cinesi e nonostante la “guida sportiva” degli altri automobilisti.
Riceviamo un’accoglienza più che calorosa. Il posto è davvero incantevole. Attorno all’albergo in cui alloggiamo, ci sono poche palazzine e subito dietro si innalzano le colline calcaree con la verdissima e folta vegetazione. Davanti a noi c’è un piazzale che da accesso alle strade carrabili e al centro si estende un modesto campo coltivato, con al suo fianco una vasca di raccolta dell’acqua piovana popolata da pesci gatto d’allevamento. Ci sistemiamo nelle stanze e scendiamo per andare a cena. Veniamo trattati come dei re, siamo i loro ospiti d’onore. Torniamo alla base, domani si va in grotta. Si decidono le squadre e i luoghi da esplorare. Sono partita per questa mia prima spedizione speleologica con tanto entusiasmo e con tre paranoie nella testa. La prima: la paura di ammalarmi in un paese lontanissimo da casa, la seconda: la paura di non riuscire a fare il pozzo con tiro unico da 94 m nel vuoto a Shaowandong, la terza: gli armi dei francesi. Degli armi dei francesi ne ho sempre sentito parlare male. Anzi, malissimo, a livelli di terrorismo psicologico. Ma ho raggiunto l’età in cui dopo un po’ ti stufi di vivere nelle tue paure e cerchi di affrontarle. Ti rendi conto che la maggior parte di queste in realtà non sono tue, spesso sono il frutto di pregiudizi che qualcuno ti ha abilmente venduto come verità assolute, sono il prodotto dell’ignoranza. Così mi sono convinta che le prime due paure avevano poca vita: se mi ammalo pazienza, esistono le medicine e ho l’assicurazione per il rimpatrio, se dovesse succedere in qualche modo affronterò la cosa. Il pozzo di Shaowandong dovrò farlo per forza tra non molti giorni, se riescono a farlo tutti gli altri per quale motivo io non dovrei riuscirci? Nel momento in cui mi ci troverò, affronterò la cosa. Ma per la numero 3… non saprei come fare. Forse non dovrei appendermi agli armi dei frencesi? Sono veramente così poco sicuri? Parlo al mio compagno Michele della questione e lui dopo essersi fatto grasse risate, racconta la storia a Marc. Così, tanto per far fare due risate anche a lui.
Marc mi chiede: “Cosa vuoi fare domani?”. Rispondo allo Chef d’Expédition (come lo chiama il Gino): “Quello che vuoi tu Marc, decidi tu..”. “Ok, allora vai con Jean, Gilles e Cyann a vedere Gànqiàndòng (la grotta del riccio), ti va bene?”… come dire di no allo Chef d’Expédition? Eh vabbé, vediamo se questi armi dei francesi sono davvero mortali come dicono. Sarebbero veramente dei pazzi, visto che ci devono scendere loro per primi. Jean ha già preparato tutto il materiale d’armo e Gilles mi affida il compito di preparare il sacco del cibo. Marc mi da 1/3 della cassa comune. Tutto pronto, domani si comincia.
Domenica 12/04/2015
Bala Houshan
1° giorno di esplorazione
Facciamo una mega colazione con pane dolce a fette, che ricorda molto il sapore del nostro pandoro con le gocce di cioccolato, latte di riso e uova sode. Carichiamo le macchine e partiamo.
Presenti con me: Gilles, Jean, Cyann e un ragazzo speleo cinese.
Parcheggiata la macchina di Jean, l’avvicinamento è abbastanza breve, non impiega più di 15-20 minuti ed è quasi tutto in discesa. Siamo vicini al contatto tra calcare e rocce metamorfiche.
L’ingresso non è per niente evidente, nell’ultimo tratto si va fuori sentiero. Se non sai dov’è non lo trovi facilmente. E’ grande per i miei standard, medio/piccolo per gli standard cinesi. Ci sono tracce di frequente passaggio. Scendiamo di qualche metro in libera. Indosso una meglietta nera e dei pantaloni grigi e da quel poco di francese che riesco a rispolverare dai lontani tempi della terza media, capisco che per Jean ho degli abiti troppo scuri per fargli da caposaldo mentre lui rileva. Così prende Cyann e sparisce. Resto con Gilles e lo speleo cinese. Ci cambiamo e quando indosso la mia tuta gialla da spedizione, Gilles se ne innamora subito perdutamente per come risalta nelle foto che scatta, classiche a detta sua, ma ben fatte e molto rappresentative della morfologia della grotta, dal mio profano punto di vista. Quasi tutta la prima metà si può fare in libera. Incontriamo scivoli, meandrini e belle gallerie. Iniziamo ad usare gli attrezzi su un P6, da lì in poi senza di questi non si prosegue. Continuiamo l’esplorazione sentendo chiaramente l’aria sulla faccia. Non da spettinare i ciuffi di capelli che escono da sotto il casco, ma si capisce chiaramente che la grotta soffia. Troviamo l’attivo in un P30, andiamo avanti e ci fermiamo davanti all’ingresso in strettoia (strettoia cinese, perciò abbastanza confortevole) di un pozzo profondo più di una quarantina di metri, a stimare dal tempo che impiega la pietra che lanciamo a toccare il fondo. Abbiamo finito le corde e gli ancoraggi, un’altra squadra tornerà domani più attrezzata per proseguire l’esplorazione. Torniamo indietro. Sul pavimento di una saletta troviamo delle ossa, alcune delle quali concrezionate. A prima vista sembrano molto grandi per essere di origine umana, si ipotizza che potrebbero appartenere ad un panda. Gilles le fotografa e Jean ne prende dei campioni per farle analizzare. Salgo l’ultimo pozzo, il P6. Sopra di me, Cyann e lo speleo cinese si sono già tolti gli imbraghi, da lì in poi non servono più gli attrezzi. Arrivo su e faccio la stessa cosa. Appena mi levo l’imbrago, Gilles dice alla figlia che si vedranno dopo, perchè lui e Jean hanno visto un nuovo ramo, perciò vanno ad esplorarlo e spariscono nel nulla. Ok, seguirli è impossibile, li aspettiamo. Per fortuna la grotta è molto calda e non ci congeliamo. Quello più contrariato nell’attesa sembra essere lo speleo cinese, che dopo mezz’ora in cui siamo lì fermi, con il suo traduttore simultaneo cinese-inglese-cinese, scaricato sull’IPhone di ultimissima generazione, mi chiede:”Che cosa sta succedendo?”. Mi verrebbe da rispondere:”Un belin”, ma la traduzione in inglese sminuirebbe la gamma di significati di questo tipico intercalare della cultura ligure. Così mi limito a dirgli che stiamo aspettando che Jean e Gilles tornino dalla prosecuzione che hanno trovato. Tornano circa 2 ore dopo. Usciamo e andiamo verso il sentiero. Al bivio, dopo un ponticello di cemento che attraversa un fiumiciattolo in magra, ci accorgiamo che Gilles è rimasto indietro. Cyann vuole aspettare il suo papà, mentre Jean ritiene che Gilles si possa arrangiare da sé e se ne và. Il ragazzo cinese ed io restiamo con Cyann. Dopo pochi minuti arriva Gilles. Cyann racconta al padre che Jean lo voleva abbandonare e che se n’è andato via da solo. Gilles sorride, si siede, mi chiede il sacco del cibo e mangiamo tutti uno snack. Gilles chiama Jean per la vallata. Risponde una capra. Lo richiama, risponde un mulo. Lo richiama, rispondono delle capre e il mulo. Lo richiama e finalmente sentiamo il clacson dell’auto. Saliamo sul sentiero e arriviamo alla macchina. Jean è sdraiato sul sedile di guida, con il finestrino abbassato e i piedi nudi appoggiati sulla portiera aperta. Gilles gli fa sapere che in quella vallata ci sono un mulo e almeno 2 capre che si chiamano Jean. Torniamo a Bala Houshan. Siamo i primi. Mi siedo sugli scalini, osservo la donna che lavora nel campo coltivato, due bambine che giocano nel cortile con la bicicletta e le bellissime farfalle che si posano sui fiori nelle aiuole. Mi godo i colori del tramonto nel cielo terso. Arrivano anche gli altri. Doccia, cena, con tanto di “L’Asparaciara” in versione integrale, una composizione di Mimmo, da lui stesso interpretata con meastria e pathos (la cui versione integrale consiste in un calo di braghe di spalle al pubblico, per mostrare il suo lato migliore), rilievi e programma per domani.
A parte l’essermi persa i 2/3 dei discorsi dei due francesi (je suis di parecchio lost in translation) e le due ore di attesa spese a far merenda e a giocare a far nodi con il cordino di kevlar, in compagnia di Lilou che faceva pupazzi con il fango e del ragazzo cinese che giocava a Candy Crash sull’IPhone, ad ogni modo è stata comunque un giornata interessante. Sono sopravvissuta agli armi francesi, che per l’appunto, non sono armi da corso, ma erano indubbiamente sicuri e in effetti, mi è capitato di vedere molto di peggio durante certi corsi di introduzione.
Lunedì 13/04/15
Bala Houshan
2° giorno di esplorazione
Un’altra colazione super, oggi doppia razione di uova sode. Come ieri, carichiamo le macchine e si parte.
Presenti con me: Michele, Gilles, uno speleo cinese bravissimo, una troupe della tv cinese e il fotografo cinese in giacca e mocassini che ci segue sempre e dovunque.
Oggi andiamo a Wendong. Gli obiettivi sono completare l’esplorazione, il rilievo e magari scattare qualche bella foto. Arrivati sul posto, le coordinate gps e le dimensioni dell’ingresso non coincidono con quelle dateci da Jean. Ci aspettavamo qualcosa di più grande, ma la nostra guida ci conferma che la grotta è quella. Subito intorno a noi, si raccolgono una decina di persone venute dal villaggio vicino. Contadini, donne anziane e qualche bambino, estremamente incuriositi e dal sorriso molto accogliente. Gilles chiede a Michele cosa preferisce fare. Non fa neanche in tempo a finire la frase che Mic ha già risposto, è nato per armare. Il cameraman cerca di riprendere ogni minimo dettaglio di quello che facciamo. Passa un discreto lasso di tempo prima che Michele dia il libera. Sotto di noi ci dev’essere un bel pozzo. Gilles da vero gentleman mi cede il posto. Scendo pochi metri e dopo due frazionamenti, mi trovo su un P90 completamente nel vuoto. E’ la prima volta che faccio un po’ di fatica in discesa, a causa del peso della corda. Mi guardo intorno mentre ritmicamente infilo la corda dentro al discensore per cercare di farla scorrere. La sala è impressionante, con la mia frontale non riesco nemmeno ad intuire la distanza tra me e le pareti. Sono davvero emozionata, ma so che devo mantenere la concentrazione sulla discesa, che sembra interminabile. Dopo un po’ di effetto yo-yo, ad una ventina di metri dal fondo e i muscoli del braccio destro in fiamme, per un attimo mi sembra quasi di essere arrivata, un’illusione ottica tanto strana quanto rischiosa. Resto concentrata e arrivo al fondo dando il libera a Gilles. Dopo di lui arriva anche lo speleo cinese. Troviamo due bellissime sale, grandi e concrezionate. Nella seconda sala l’aria si perde, sembra praticamente ferma. Gilles ed io rileviamo, poi Gilles scatta diverse foto. Peccato che essendo in pochi ed essendo le sale piuttosto grandi, non le si riesca ad illuminare a sufficienza con due soli flash. Facciamo del nostro meglio. Sul fondo troviamo della spazzatura, tra cui diverse batterie esauste. Le prendiamo e le portiamo fuori con noi. I locali e la troupe televisiva sono rimasti tutto il giorno accampati vicino all’ingresso, ad attendere il nostro ritorno. Dopo aver cercato di spiegare allo speleo cinese quanto sia pericoloso per la loro stessa salute buttare nelle grotte la spazzatura e, in particolare, degli inquinanti come le pile, lui traduce quanto gli abbiamo detto ai villeggianti. Ma è molto difficile sradicare certe abitudini. A spettacolo finito, tutti tornano alle loro case lasciando in prossimità dell’ingresso i rifiuti del loro pranzo, delle bottiglie di plastica vuote e cartacce. Gilles che ha disarmato ed è l’ultimo ad allontanarsi, fortunatamente se ne accorge. Così oltre alle pile portiamo via anche il resto.
Il P90 in salita nel vuoto è stato meno peggio di quel che pensavo. Una volta trovato il proprio ritmo, lo si mantiene costante e si sale senza grosse difficoltà. Ancora una volta tante pippe mentali per nulla.
Martedì 14/04/2015
Bala Houshan
3° giorno di esplorazione
Sveglia presto, colazione, macchine cariche e si parte.
Presenti con me: Marco Gino, Jean, Gilles e uno speleo cinese.
Si ritorna a Ganqiandong per finire l’esplorazione, completare il rilievo e disarmare.
Con il Gino mi trovo molto bene, è simpatico e in grotta ti mette a tuo agio, ti sa dare un sacco di consigli, ha una lunga esperienza speleologica, sarebbe un istruttore molto valido.
Mentre aspettiamo Gilles che sta disarmando, Gino gli dice che se si trova in difficoltà a disarmare l’uscita in salita e in strettoia del P50, è per colpa dell’armo alla francese (cugino dell’armo alla pisana). Gilles sorride e non commenta. Sicuramente l’armo comodo è un’altra cosa. Sarà per l’acustica perfetta della grotta, sarà per la buona compagnia, sarà perchè sono di ottimo umore, o perchè fondamentalmente sono un po’ fuori di testa e non so stare troppi giorni senza musica… comincio a cantare alcune canzoni di Franco Battiato. Gilles e il ragazzo cinese gradiscono molto e il Gino si unisce volentieri al canto. All’uscita Gilles mi dice che se riesco a camminare per il sentiero con il sacco sulle spalle e contemporaneamente a cantare, sono arruolata come migliore “Cuccurucucù” di tutta la Cina. Ovviamente io lo faccio e da quel momento mi aggiudico la massima onorificenza dell’epiteto “Paloma”.
La sera si ironizza sulla barba del Gino. La Paola dice che è troppo lunga, che sembra un gatto e Gilles e le sue figlie gliela vorrebbero tagliare, ma lui non vuole saperne. Marc gli lancia la sfida: se alla fine della spedizione riusciamo a fare più di 20 km totali di rilievo, sarà costretto a tagliarla. La serata procede in allegria con i nostri nuovi amici cinesi. Universalmente, la birra unisce ciò che le differenze linguistiche dividono. “Ces” (capiamo presto che significa “alla goccia”).
Mercoledì 15/04/2015
Da Bala Houshan a Zhongting, passando per Fengshan
Facciamo i bagagli e dopo la visita al parco naturale delle scimmie (su invito difficilmente declinabile), ci trasferiamo a Zhongting, passando per Fengshan. La bella e simpatica Xuelian, mi insegna a pronunciare correttamente il suo nome. “Sciulien” e non “Ceien”, come invece la chiamano ormai da giorni, con il suo massimo disappunto, tutti gli occidentali del gruppo. Mi scuso per la mia ignoranza e da quel momento comincio a chiamarla con il suo nome. E’ l’inizio di un’amicizia. A Fengshan incontriamo il Doc Marco Zambelli, a quanto capisco, medico molto professionale e competente nel suo campo e persona dalla simpatia travolgente, politicamente scorrettissimo, inevitabilmente esilarante. Avercene di medici così.
Nel pomeriggio Marc, Marco Z., Daniele, Michele, io e due speleo cinesi, ci prepariamo per andare a Poxin, per fare il rilievo della portata del fiume. Gli altri restano a Fengshan a fare shopping. A me interessa da matti imparare qualcosa di nuovo. Decido che lo shopping dai cinesi lo faccio a Savona quando ci sono i saldi. Arriviamo e scegliamo accuratamete il posto più idoneo, con il fondale che pare essere più regolare e di più facile accesso. Resto in mutande e reggiseno indossando solo tuta e scarponi, per muovermi meglio in un’acqua certamente non potabile. Così ne approfitto anche per togliere il fango di grotta. Questo mio disinvolto anche se rapido cambio d’abito, unito alla generale curiosità che destano degli occidentali che armeggiano nel fiume, richiama nel giro di mezz’ora la vivace presenza di una decina di ragazzi locali.
Marc ed io ci caliamo in acqua, Michele gonfia la Packraft e testa con buoni risultati le pagaie procurate da Jean. Daniele e Marco restano sulla sponda e tutti attendiamo istruzioni da Marc. Il flusso ha un moto abbastanza uniforme e laminare, come ci si aspetta da un fiume in pianura (a valle). Tendiamo due corde sul pelo dell’acqua, da una sponda all’altra e le distanziamo tra loro di 10 m. Dopodichè, con una bindella acquistata a Fengshan ed un bastone di legno di bambù centimetrato (la nostra asta idrometrica, preparata in precedenza con pazienza e precisione da Daniele), misuriamo la profondità del fondale, metro per metro, da una sponda all’altra, lungo ciascuna corda (profilo 1 e profilo 2). Comunichiamo le misure prese a Daniele, il quale riporta tutto in una tabella. Successivamente, cronometriamo il tempo di percorrenza da una corda all’altra, di oggetti immersi pressocchè in assetto neutro (a mezz’acqua). Prendiamo più di 10 tempi. Nel frattempo, il gruppetto di cinesi si mette in mutande e si tuffa dentro al fiume. Per fortuna a valle del flusso, perciò la perturbazione nelle misurazioni risulta trascurabile. Usciamo dall’acqua. E’ il momento che i giovani sirenetti aspettavano con impazienza. Marco già se la ride e pensa se sia il caso di metter su un botteghino e far pagare qualche biglietto. Così completamente zuppa, ritiro la mia roba, mi metto il sacco in spalla e comincio a dirigermi insieme agli altri verso la macchina. Non avendo dato loro spettacolo, i sirenetti un po’ delusi se ne vanno a testa bassa. A quel punto torno indietro e mi cambio dietro ad una duna di fango. Raggiungo gli altri alle macchine, andiamo a berci una birra e poi partiamo per riunirci al resto del gruppo a Zhongting, dove alloggeremo per i prossimi giorni. Ci sistemiamo in un albergo ancora in costruzione e allestiamo le postazioni: le spalliere dei letti nelle camere, il magazzino, i tavoli per elaborare i dati e per mangiare. Sul pavimento sono distese tante verdure fresche e numerose casse di birra, che i ragazzi del gruppo speleo cinese hanno acquistato per noi. La sera Marc riporta i dati raccolti al fiume sul pc, e con una formula matematica che tiene anche conto dell’eventuale irregolarità del profilo medio del fondale, ci dice che la portata del fiume di Poxin è di circa 2,19 metri cubi al secondo, cioè più di 2000 l/s in un periodo di deflusso, praticamente di magra.
Domani faremo la misurazione della portata del collettore di Shaowandong, un fiume lungo diversi km non ancora del tutto esplorato, che scorre a circa -300 m sotto terra.
Giovedì 16/04/2015
Zhongting
4° giorno di esplorazione
Presenti con me: Marc, Michele, Daniele, Paola, Marco Gino, Marco Z. e quattro ragazzi speleo cinesi.
Marc e Marco, che dividono la stanza, si svegliano tardi. Così Michele, che non vede l’ora di riprendere l’esplorazione di questa grotta dal punto in cui si sono fermati i cinesi successivamente alla spedizione del 2012, per non stare ad aspettarli con le mani in mano, decide di avviarsi con una squadra formata da me, Daniele, Paola e uno degli speleo cinesi che ci accompagna in auto, in modo da velocizzare il tutto. Ma indubbiamente le strade sterrate cinesi non sono facili da distinguere, soprattutto a distanza di anni. Così rischiamo di allungare il percorso. In breve tempo ci raggiungono anche gli altri. Dobbiamo fare un altro bel tratto di strada in auto prima di incamminarci lungo un piccolo sentiero che, passando in mezzo a delle abitazioni e ai spettacolari karren, ci porta al grande ingresso a pozzo, mimetizzato dalla vegetazione che vi cresce dentro e attorno.
Ci cambiamo e Michele comincia ad armare in alternanza con Marc. Alla fine la combinazione ottimale risulta quella con Marc che arma e Mic dietro che sistema i nodi e la lunghezza delle asole. In questo modo riusciamo ad avanzare rapidamente e in sicurezza. Arriviamo al P94 di Shaowandong. Bellissimo, da togliere il fiato. Dopo averne già fatto uno altrettanto lungo qualche giorno fà, l’idea di non riuscire a farcela non mi attanaglia più e me lo godo con piacere. Anche se la corda da 8,6 mm che si assottiglia nei momenti di yo-yo, fa sempre un certo effetto. Il fondo è un’immensa colata di fango denso, crepato e scivoloso, che scende fino ad incrociare un sentiero di sassi arrotondati e lucidissimi. Il percorso segnato del fiume quando è in piena. Superato questo tratto, raggiungo Marc e Michele in un’enorme galleria con il fondo fangoso. Arrivati anche gli altri, in breve tempo raggiungiamo l’attivo. Un fiume dalle acque piuttosto chiare, verde smeraldo, di circa 10 m di larghezza, a prima vista poco profondo, con qualche secca e qualche fosso qua e là, un po’ irregolare in certi punti, ma sinuoso ed intrigante, ti invoglia a seguirlo.
Facciamo le squadre: io, Daniele, Gino e i cinesi stiamo qua e facciamo il rilievo della portata; Marc, Michele, Paola e Marco seguono l’acqua a bordo delle due Packraft, fanno il rilievo topografico e scattano le foto. Ormai ci ho preso gusto a sguazzare in acqua per prendere le misure. In squadra con Daniele e Gino mi trovo molto bene, pur essendo bravissimi, non mi fanno pesare la loro esperienza. Sono dei grandi, come del resto lo sono tutti i componenti della spedizione.
Fatto il nostro dovere, usciamo. In risalita, Gino chiede ad uno degli speleo cinesi tramite il traduttore sul telefono, se al nostro ritorno troveremo ancora un locale aperto per mangiare qualcosa. Lui risponde di si. Guardiamo l’ora e concordiamo tutti sul fatto che il ragazzo ha un futuro in psicologia. Infatti arrivati davanti all’albergo, vediamo che il ristorante poco più avanti è chiuso, ma chi era rimasto alla base in attesa della telefonata in cui si annuncia il “tutti fuori”, ha cucinato la cena. Troviamo tutto pronto sui tavoli non appena entriamo nella sala adibita a pasti/magazzino/ufficio. Questi ragazzi sono semplicemente fantastici. La stessa cosa si ripete per l’altra squadra, che torna molto più tardi di noi. Gino decide di ribattezzare con il nome “Antonio” il più giovane del gruppo speleo cinese, in quanto il suo nome per noi è impronunciabile. Marc calcola la portata del fiume di Shaowandong con i dati che abbiamo raccolto, è di circa 700 l/s.
Venerdì 17/04/2015
Zhongting
5° giorno di esplorazione
Shaowandong già dal primo giorno ci ha fatto fare le ore piccole e al mattino ci alziamo tardi. Non abbiamo ancora finito di fare colazione che Mic, Marc e Paola riportano i rilievi su carta. Nella mattinata facciamo un po’ di bucato, poi pranziamo e ci dividiamo già nelle squadre per il pomeriggio.
Presenti con me: Marc, Marco Z., Daniele, “Antonio” e un altro speleo cinese bravissimo.
Oggi l’obiettivo principale è l’inghiottitoio dei Camion (Kaleoshuidong), un grande ingresso al livello del polje, nel quale il SoukaTeam non era riuscito ad entrare nella precedente spedizione a causa di un camion che ne bloccava l’accesso.
Siamo immediatamente costretti a lasciare le auto al parcheggio e andare a piedi perchè all’uscita del villaggio una gru, intenta nei lavori di smantellamento di un palo dell’alta tensione, impedisce il passaggio a tutti i veicoli. Ci incamminiamo con gli zaini in spalla seguiti per un centinaio di metri da un signore che vorrebbe venderci almeno uno dei suoi conigli. Li ha appena catturati sulle colline poco sopra il villaggio con delle trappole artigianali simili a delle nasse da pesca, come quelle che qualche giorno fa abbiamo visto posizionate vuote in prossimità dei cantieri stradali. Jean ci aveva spiegato che erano state lasciate lì dagli operai, per catturare gli spiriti maligni. Appena usciti dal villaggio di Zhongting, Marco avvista un bell’antro sulla falesia alla nostra destra. Convince Marc a posticipare di qualche ora l’esplorazione dell’inghiottitoio dei camion per dare uno sguardo a questo ingresso, conosciuto dai cinesi con il nome di Luyintang. Attraversiamo una curatissima piantagione di mandarini, dei campi coltivati e una breve salita tra le rocce calcaree. Ci districhiamo tra i rami dalle spine simili a piccoli artigli un po’ urticanti e alcuni stupendi bambù. L’ingresso è ampio, con dei bellissimi soffitti, nei quali il canale di volta si snoda serpeggiante tra le concrezioni a vela e le stalattiti. In una sala vicina all’ingresso, troviamo un altare votivo con degli incensi. C’è un po’ d’aria e il fumo dell’incenso acceso da Marco ce lo conferma. Seguono belle gallerie e altre salette di medie dimensioni. L’andamento è prevalentemente orizzontale, riusciamo a percorrerla nei rami laterali e a rilevarla quasi tutta senza attrezzi. Restano due pozzi da scendere e una risalita un po’ impegnativa nell’ultimo tratto fatta da Marc in libera, che porta ad un altro piccolo ingresso alto affacciato in parete, poco sopra l’ingresso principale. Lo sviluppo totale è di circa 620 m, con una profondità massima di 87 m.
La grotta successiva che andiamo ad esplorare è l’inghiottitoio dei camion. L’ingresso è molto suggestivo e, nonostante il passaggio di mezzi pesanti, non presenta dei solchi di pneumatici sul terreno. Ci sono molti segni di passaggio a piedi, tra cui dei tronchi posizionati per facilitare il passaggio da un masso ad un altro. Soffia un po’ d’aria.
La galleria orizzontale ha alte pareti grigie, sulle quali si notano i solchi delle cariche esplosive utilizzate per allargarla ancora di più. Il terreno diventa subito fangoso, arriviamo in una sala ampia, nella quale una grande finestra situata quasi a soffitto, fa entrare un bellissimo fascio di luce. L’aria che si sentiva all’ingresso era probabilmente dovuta al tubo a vento creato dai due ingressi. La grotta prosegue ancora orizzontale dall’altra parte della sala e ci conduce all’attivo. La galleria sembra continuare per un po’, ma questa volta nessuno entra in acqua. Oltre alla grande quantità di rifiuti, sulle sponde si notano grosse impronte di roditori e, come ci fa notare Marco, forse si squaglierebbero anche le Packraft in quei reflui. La sua teoria è che si convogli qua giù il “percolato dei defunti” proveniente delle numerose tombe cinesi che abbiamo visto in prossimità di molti ingressi bassi e in quasi tutti i polje. Detto questo, scartiamo definitivamente l’ipotesi di tentativo di immersione anche solo parziale. L’acqua è ferma e non c’è un filo d’aria. Concludiamo che sifona, usciamo e ci avviciniamo ai villaggi che si trovano nel contatto. Cambia completamente il paesaggio. Poco calcare, non ci sono più gli enormi polje e gli alberi di acacia e bambù, lasciano spazio a fitti e ordinati sempreverdi. Entrando nel primo villaggio, dei bambini si accorgono di noi e cominciano a radunarsi lungo la strada incuriositi. Le galline non si contano, passeggiano indisturbate in mezzo alla strada e nei cortili delle case. Al lato della strada, un uomo senza mostrare la minima necessità di appartarsi, nonostante la sovrabbondanza di alberi e cespugli, si cala le braghe e con molta disivoltura espleta le sue funzioni corporee in pubblico, come dice Marco, “come se non lo guardasse nessuno”. “Antonio” parla per una buona mezz’ora con un anziano signore che indossa una giacca dell’esercito militare cinese. Pare che conosca delle grotte situate non lontano e che sarebbe disposto ad accompagnarci agli ingressi. Ci arriviamo seguiti da una quindicina di bambini divertiti dalla nostra presenza. Vediamo due buchi: Chugidong (buco fumante), una grotta di interstrato di circa 50 m di sviluppo, e Wudidong, il quale nonostante significhi “pozzo senza fondo”, suscita decisamente poco interesse, con un diametro di ingresso di circa 1 m e nessun circolo d’aria. Tiriamo delle pietre per valutare quanto possa essere profondo, probabilmente un 8 m. Non scendiamo. Torniamo giù al villaggio, gli altri speleo cinesi ci hanno raggiunto con le macchine.
Ringraziamo e salutiamo i nostri accompagnatori per l’accoglienza e la disponibilità che ci hanno riservato, andiamo a bere una birra e torniamo a Zhongting. Qui Xuelian ci offre un fresco ghiacciolo alla soia verde che è persino buono. Cena fantastica come sempre, si buttano giù i rilievi e ci si prepara per le esplorazioni di domani. Torneremo a Shaowandong e uno degli obiettivi sarà arrivare all’ipotizzata, ma praticamente certa, congiunzione sull’attivo con Huiyaowandakeng, la grotta esplorata e rilevata in questi giorni dalla squadra di Jean e Gilles.
Sabato 18/04/2015
Zhongting
6° giorno di esplorazione
Presenti con me: Jean, Daniele e Mimmo.
Arriviamo all’attivo di Shaowandong in poco tempo. Ormai è casa nostra e la voglia di fare questa congiunzione ci da la carica giusta. Prendiamo le Packraft che Michele aveva accuratamente legato ad una clessidra naturale e cominciamo la navigazione. Io mi diverto come una bambina a pagaiare, anche se sono ancora un po’ in ansia per le possibili tragiche sorti alle quali potrebbe andare in contro la Packraft di Michele… e poi chi lo sente se gliela buchiamo?! Continuo a pagaiare facendo attenzione al fondale e agli ostacoli rocciosi, sperando in bene. Sono a bordo con Mimmo, il quale dimostra di avere veramente una grande forza di volontà e un grande coraggio nell’affrontare la sua poca confidenza con l’acqua alta. Lo scenario è uno spettaccolo tutto da godere. Ancora una volta incontriamo il verde smeraldo dell’acqua che contrasta con le stupende sfumature di grigio delle pareti di calcare. Passiamo il bivio del sifone, accostiamo sulla sponda alla nostra sinistra, scendiamo dalle canoe gonfiabili e saliamo su una colata di fango con le Packraft in spalla e le pagaie sotto il braccio. Percorriamo una lunga galleria fino ad arrivare ad una sala nella quale ritroviamo l’attivo in un piccolo lago che pare sifonare. E lì, nel mutevole silenzio delle scorrevoli acque calme, cominciamo a sentire il vociare in lontananza. Urliamo e dall’altra parte della sala ci rispondono. Ed ecco le luci delle frontali, ed ecco la congiunzione. La gioia di tutti è incontenibile. Tremo per il freddo che comincia ad impadronirsi di me, fradicia e ferma in una zona di corrente d’aria, ma tremo anche per l’emozione di aver dato il mio piccolo contributo a questo grande risultato. Marco Z., per raggiungerci e abbracciarci, si tuffa in questa bellissima piscina naturale che separa e unisce allo stesso tempo le due grotte. Così facendo spaventa il piccolo gruppo di pesci albini che la popolano, i quali si avvicinano alle vaschette sotto di noi in cerca di riparo. Riesco a vederne abbastanza bene uno, che per qualche secondo rimane sotto il pelo dell’acqua davanti a me, prima di andare a nascondersi tra gli anfratti delle rocce. Bianco candido, affusolato, lungo una decina di cm, con le pinne velate, quasi trasparenti, privo degli occhi. Stando alle ricerche in merito, potrebbe trattarsi di una specie di Tryplophysa, ed in tal caso, sarebbe un “Tryplophysa Shaowandongensis”, una specie ufficialmente non ancora classificata.
La Paoletta mi abbraccia e mi leva un po’ di freddo. Formiamo delle nuove squadre. Mimmo è ben contento di fare la traversata e non dover più navigare per km sul fiume. Io, grazie al suggerimento di Marc, vado con Jean e armati di Packraft andiamo ad esplorare un ramo molto promettente. Poco dopo ci raggiungono Daniele e Gino. L’esplorazione si rivela da subito proficua. Rileviamo più di 1 km di grotta nuova, con bellissime vasche di acqua limpida, dense colate di fango compatto, sulle quali per me è impossibile camminare normalmente. Con le scarpe da torrentismo, infangate e bagnate, sembra di salire su uno scivolo cosparso di sapone e più di una volta ho necessità di un braccio o di una gamba dei miei compagni di squadra su cui arrampicarmi. Sono impagabili per la pazienza e per l’umana comprensione. Posiamo le Packraft e arriviamo a delle fantastiche gallerie immense, ci corriamo dentro. Daniele mi incita ad andare avanti ad esplorare. Nei rami laterali la morfologia cambia in maniera radicale, i colori si fanno più scuri, il fango lascia spazio alla roccia nuda e corrosa. Al posto delle morbide curve fangose, ci sono lame taglienti e pareti ricoperte di scallops, in alto scorgo un piccolo ponte naturale. Supero delle marmitte e mi trovo su un salto che pare l’inizio di un pozzo. Sembra ci sia un po’ d’aria. Chiamo gli altri che stanno rilevando ed esplorando gli altri rami. Gino prova a scendere di qualche metro, ma è impraticabile in libera. Torniamo alla galleria principale. Andiamo avanti finchè troviamo una sala concrezionata, il soffitto comincia ad abbassarsi progressivamente con stalattiti, stalagmiti, colonne e pareti cosparse di fragili eccentriche. Da lì il soffitto si abbassa sempre di più, ma la grotta continua. Decidiamo di fermarci qui e di lasciare il resto dell’esplorazione agli altri che torneranno domani. Percorriamo a ritroso il fiume. Camminare sul fondale è meno faticoso che remare contro corrente. Ad un tratto, un’ombra in movimento nell’acqua, che ben presto identifichiamo come un grosso pescegatto verde, si avvicina a noi attirato dalle nostre luci frontali. Ma non appena Jean cerca di prenderlo, si allontana repentinamente. Viene da chiedersi quale corrente e quale via ancora sconosciuta abbia seguito per incontrarci lì, a circa -300 m sottoterra. Arriviamo alla base del P94, con la consapevolezza che quel pesce ha esplorato Shaowandong molto prima e meglio di noi. Perlustriamo con più attenzione la zona, ma non troviamo nulla che dia la possibilità di una continuazione. Gino fa una risalita, con me che gli faccio da sicura. Non mi dice nulla, ma ha la faccia di uno che pensa “è meglio se non cado”. Fila tutto liscio. Arriva fino ad un terrazzino, dal quale si accede ad un piccolo pozzetto che chiude. Si può andare fino al terrazzino superiore, ma chiude tutto, non si va oltre. Torniamo alla corda del P94. Gino mi manda avanti ed io gli rispondo che avranno da aspettare un po’, perchè sono un po’ bollita e andrò più lenta del solito. Gino mi guarda con la faccia di uno che si sente preso in giro e mi dice forzando di proposito il suo accento toscano: “ A bimba, vai và, he alle 21 s’è tutti fori”. Salgo con il mio ritmo, arrivo su, do un forte “libera” e, come d’accordo, mi siedo ad aspettare gli altri. Mi accorgo che in effetti non ho neanche il fiato corto. Jean e Daniele restano indietro a disarmare. All’ultimo pozzo incontriamo in ordine, una scolopendra gigante un po’ contrariata per l’invasione nel suo territorio, un pacifico ragno nero grosso quanto la mia mano e una simpatica sanguisuga in attesa della sua cena trasfusionale. Mantenendo le debite distanze da questi socievoli troglobi, troglofili e troglosseni, usciamo senza intoppi. Salgo gli ultimi metri con la luce della frontale al minimo per diminuire la densità della nuvola di farfalline, zanzare e moscerini che vengono attirate verso gli occhi e le narici. Quando arrivo in cima il Gino si è già tolto l’imbrago e sta disteso sul prato con le mani che gli sorreggono la testa. Mi porge l’orologio e mi dice: “Guarda che ore sono..”. Sono le 21:05. Ovviamente aveva ragione. I cespugli intorno sono pieni di lucciole, ma il Gino mi fa notare quanto sia più straordinario lo spettacolo delle stelle cadenti sulle nostre teste. Mi siedo sul mio zaino, spengo la frontale e guardo in su. Realizzo che in effetti un cielo come questo si vede poche volte nella vita. Una grotta come questa si vede poche volte nella vita. Escono pure Daniele e Jean. Shaowandong è disarmata. Dopodomani l’altra squadra entrerà da Huiyaowandakeng.
“Non importa se vai avanti piano, l’importante è che non ti fermi.” (Confucio)
Domenica 19/04/2015
Giornata a Poxin
Presenti con me: Marco Gino, Paola, Daniele, Mimmo, Marc, Michele, Marco Z., Jean, Gilles, Lilou, Cyann e Xuelian che ci raggiunge a Poxin.
Durante il viaggio in bus qualcuno dorme, qualcun’altro guarda il paesaggio. Gilles mi chiede di cantare “Cuccurucucu Paloma..” per Lilou e Cyann, che fino a quel momento erano riuscite a risparmiarsi l’esperienza. Fino ad arrivare a Poxin, è un susseguirsi di storiche canzoni italiane cantate in coro, tra le quali la più conosciuta “Bella ciao”. Perciò si decide che sarà la canzone che canteremo ai cinesi durante la manifestazione alla quale ci stiamo recando. Arrivati a Poxin incontriamo Xuelian, bella ed elegante nel suo lungo vestito grigio dalla fantasia pitonata. Un numeroso gruppo di persone indossa i coloratissimi abiti tradizionali. Nell’attesa che inizi il concerto, qualcuno di noi si concede una buona tazza di “colazione del campione”, la tipica zuppa calda di noodles, tofu, alghe, verdure e carne di maiale. La giornata è molto soleggiata. Comincia lo spettacolo con i canti cinesi. E’ un peccato non riuscire a comprenderne il minimo significato. Dopo circa un’ora fermi sotto il sole rovente, ci invitano a prendere posizione davanti al pubblico. Mimmo prende la parola e intrattiene gli spettatori come farebbe un presentatore televisivo di lunga esperienza. Nel mentre gli organizzatori ci omaggiano appendendoci al collo dei portafortuna: un origami sferico di stoffa colorata e una retina contenente un uovo di gallina sodo dipinto di rosa. Quando ci passano il microfono, cantiamo malissimo “Bella ciao”, sfiniti dal caldo, ma comunque infinitamente grati per l’accoglienza e le attenzioni che questo popolo ci ha riservato. Ringraziamo come possiamo e lasciamo spazio ai particolari cori tradizionali, dalle tonalità per noi insolite. Alla fine del concerto andiamo a pranzo. Subito dopo, torniamo all’autobus e ci dirigiamo verso la Mawangdong Cave o “grotta del re cavallo”, così chiamata perchè la forma di uno dei suoi ingressi ricorda appunto la bocca di un cavallo. Si tratta di una delle più grandi grotte del distretto di Fengshan, ma noi ne visitiamo solamente la parte turistica. Questa cavità presenta tre livelli. Quello superiore e quello intermedio sono fossili, con uno sviluppo di 7,7 km. Presentano gallerie e sale con altezze che si aggirano tra gli 80 e i 150 m e larghezze tra i 30 e i 160 m. Il terzo livello è attivo e vi si trova il canale del collettore che la unisce alla grotta di Sanmenhai. Scendiamo e saliamo gli scalini di cemento armato costruiti per la parte turistica. La scelta dei cinesi per le luci multicolor sulle concrezioni come sui palazzi di Shanghai, potrebbe essere discutibile, ma questa grotta resta bellissima con qualsiasi luce. Arriviamo ad uno degli altri ingressi, un tiankeng profondo 320 m, qualcosa di gigantesco. Sul fondo sono stati ritrovati resti di insediamenti umani. Una sottile nebbia avvolge la sala. Il pavimento presenta segni di crollo ed è quasi interamente ricoperto di piccole piante, tutte schierate, rivolte verso l’imponente ingresso. Continuiamo il giro turistico fino all’uscita. Riprendiamo l’autobus e torniamo sulle rive di Poxin, dove saliamo su delle zattere attraccate ad un piccolo molo. Le guide, vestite anche loro con gli abiti tradizionali e il classico cappello di paglia conico, remano e ci traghettano in un posto incredibilmente bello: la risorgenza di Sanmenhai. Questa risorgenza presenta 7 “finestre” (skylights), ovvero 7 tiankeng (pozzo celestiale). Vengono così chiamate delle grandi doline naturali con profondità e larghezze che spesso superano i 100 m. Nel caso di Sanmenhai sono pieni d’acqua e navigabili. Queste 7 finestre sono disposte in maniera molto simile alle stelle della costellazione dell’Orsa Maggiore e, letteralmente Sanmenhai si traduce come “tre porte accessibili dal mare”. In effetti, solo i primi 3 skylights sono accessibili con le imbarcazioni. Il primo è il più grande dei 7. Quasi circolare, con le pareti ricoperte di vegetazione. Una vasca d’acqua di un turchese brillante profonda più di 70 m. Si collega al secondo skylight, di forma più ovale e un fondale che si aggira intorno ai 20 m, diverse piante crescono rigogliose sulle sue sponde. Il terzo skylight presenta una forma ad imbuto, anche questa vasca è profonda una ventina di metri. I colori dell’acqua e delle piante sono spettacolari, così vividi e intesi. Mentre ci spostiamo dal primo skylight al secondo Michele gonfia la sua Packraft a bordo della zattera, la posa in acqua e naviga in solitaria. Sulle sponde del secondo skylight tanti bambini che giocano si tuffano e ci salutano divertiti. Arrivati al terzo skylight, dopo qualche minuto di fotografie e contemplazione della maestosità di questo luogo, il nostro Caronte cinese, inverte la rotta e ci riporta sulla riva di partenza a Poxin. Scendiamo dalla nostra zattera, aspettiamo che arrivino anche gli altri con la seconda e nel frattempo curiosiamo nelle bancarelle sulla piazza del paese. Ovviamente vendono di tutto, in particolare spezie, radici, zucche, infinite varietà di funghi, uova di varie dimensioni e colori e anche numerose concrezioni brutalmente saccheggiate dalle grotte. Paese che vai, usanze che trovi e, anche se a noi ora fa storcere il naso, vederle lì ci fa ricordare che fino a 40 anni fa in Italia si era soliti alla stessa usanza. Riunito il gruppo si torna a Zhongting, domani si continuano le esplorazioni.
Lunedì 20/04/2015
Zhongting
7° giorno di esplorazione
Siamo due squadre: Mimmo e Daniele vanno a fare una risalita in arrampicata di 30 m circa, per controllare un vistoso buco in parete. Jean, Aliao ed io controlliamo gli inghiottitoi nel polje e cerchiamo l’ingresso di Jiefandong.
Ci mettiamo subito in marcia. La salita è resa ancora più dura dal caldo umido e dal fatto che nel giro di breve tempo andiamo fuori sentiero, dove la vegetazione è fitta e pungente. Spine verdi e sottilissime o nere e robuste su ogni centimetro di ogni ramo, graffiano inevitabilmente le braccia nude. Sembrano voler custodire gelosamente questa grotta, rendendo l’avvicinamento meno confortevole. Finalmente riusciamo a raggiungere la cima e lo spettaccolo che vedo mi lascia senza parole. Siamo sul bordo di un grande tiankeng. Le pareti di calcare scendono ripide, fino ad incontrare nuovamente le piante che vi crescono dentro rigogliose. Sulla nostra sinistra la cresta si alza notevolmente, assumendo la tipica forma a cono, ed esattamente sotto la sua sommità, al fondo del tiankeng, si scorge un imponente antro ornato di stalattiti. Costeggiamo quindi il lato alla nostra sinistra, finchè non riusciamo a trovare un passaggio in discesa in mezzo alle bellissime piante. Mentre mi muovo dentro a questa foresta che cresce dentro ad un buco largo e profondo delle centinaia di metri, mi sento molto vicina alle dimensioni di una formica. Indosso tuta, casco, imbrago e raggiungo Jean e Aliao, i quali molto coraggiosamente erano partiti con le tute già addosso. L’ingresso è una grande sala di crollo, presenta i segni di insediamenti umani, con diverse vasche per la raccolta dell’acqua, piani di lavoro e punti strategici d’avvistamento verso l’esterno. Jean, seguendo l’aria, riesce a trovare il passaggio nella frana. Lui ed io passiamo le ore successive a rilevare. La grotta è concrezionata, abbastanza asciutta, ma con numerose colate di fango denso e scivoloso. E’ bella, un po’ labirintica. In certi punti l’aria si perde e non riusciamo del tutto a capire dove vada. Probabilmente ci sono altri passaggi. I dati raccolti danno una profondità massima raggiunta di 81 m, ed uno sviluppo di 889 m.
Seguire Jean in grotta è un’impresa titanica per me, perchè è veramente bravo e velocissimo. Usciamo nel pomeriggio, senza aver né mangiato, né bevuto per tutto il giorno. Per mia fortuna, appena ci incontriamo nella sala all’ingresso, Aliao mi porge acqua e barrette di cioccolato. Lo ringrazio con il mio ridicolo “xie xie”, ma se potessi in questo istante vorrei erigere un monumento di 40 m in suo onore in piazza Tien’anmen, tra il “Monumento agli eroi del popolo” e il mausoleo di Mao Tse-Tung.
Torniamo al polje, ma stavolta intercettiamo il sentiero, decisamente migliore della strada fatta all’andata. Mimmo e Daniele sono già andati via. Controlliamo ancora altri buchi e inghiottitoi che però chiudono. Jean ne rileva uno profondo 19 m, con uno sviluppo di 89 m. Il nome è Cheshuidong. Il sole comincia a calare, torniamo alla base. I colori del tramonto esaltano la straordinaria bellezza di questo paesaggio carsico cinese. La macchina di Jean ha qualche difficoltà con la frizione, per cambiare la marcia ogni volta deve spegnerla, scalare e riaccenderla… non esattamente pratica. Mi faccio un po’ gli affari suoi e, da vera maleducata, gli chiedo come mai non abbia ancora deciso di cambiarla. Lui mi spiega che in Cina le automobili costano molto di più , perchè il governo punta a disincentivarne l’acquisto, visti i problemi di traffico e di inquinamento. Non ci resta che sperare che la sua tenga duro ancora per un po’. Al nostro ritorno veniamo a sapere che la squadra che doveva continuare l’esplorazione a Shaowandong, passando dalla congiunzione con Huiyaowandakeng, non ha fatto molta strada. La grotta chiude dopo pochi metri da dove l’avevamo lasciata. Ma hanno portato a casa delle bellissime foto fatte nelle gallerie fossili. Il buco in parete che dovevano esplorare Mimmo e Daniele, era una grande cengia chiusa, ma Mimmo si è comunque divertito a fare una risalita di 30 m piantando solo un fix. C’è poco da dire, è proprio in gamba. Al villaggio vado in uno dei negozi della via principale e, senza parlare una parola di cinese, se non per salutare e ringraziare, per 7 Yuan riesco a comprarmi un paio di scarpe di tela verde con le suole adatte ai terreni accidentati, oltretutto anche della misura giusta. Sono come quelle che usano Jean e Wuyun. So già che l’unica cosa che mi impedirà di portarmele in Italia, più che il limite di peso dei bagagli, sarà il forte odore di plastica tossica che emanano le suole. A parte questo piccolo dettaglio, queste scarpine sono comodissime. Leggere e ci cammini bene praticamente dovunque.
Martedì 21/04/2015
Zhongting
8° giorno di esplorazione.
Presenti con me: Michele, Marco Z., Paola, Mimmo e Wuyun.
Facciamo una battuta di ricerca in esterna e, grazie a Wuyun che parla un po’ di inglese, riusciamo a comunicare con i pastori e i villeggianti, i quali ci segnalano diversi ingressi. Il primo di questi lo battezziamo la “Grotta degli antenati”, per via dei numerosi reperti archeologici trovati all’interno. Si presenta come un grande antro. Alla nostra destra, in prossimità dell’ingresso, c’è un altare votivo con tante ciotole e bottiglie di vetro e una serie di statuette di legno antropomorfe disposte in fila (gli antenati). L’aria si va ad incanalare in due camini poco praticabili, probabilmente arrivano a dei buchi in parete, non sembra dare possibilità di prosecuzione oltre la prima sala.
Un altro ingresso che sembrerebbe più promettente, viene controllato da Mimmo, Paola e Michele. Ci segnalano anche Longmenran (Dentro le due montagne), un P25 non sceso, dal quale dicono che in inverno fuoriesca una colonna di fumo. Al momento sembra tutto fermo, non si muove un filo d’aria. Prendiamo i punti gps e mi faccio scrivere da Wuyun su un foglietto il nome segnalato (Longjie) con gli ideogrammi e la corrispondente pronuncia e i nomi dei due villaggi visitati, del secondo solo dei quali ho la corrispondente pronuncia (Yujiawan).
Torniamo alla base. L’altra squadra ha ritrovato il fiume collettore che si perdeva a valle del sifone. Questa volta non a -300 m come a Shaowandong, ma a pochi metri dall’ingresso. L’hanno seguito, rilevato e fotografato per più di 1 km e l’esplorazione resta in sospeso.
Mercoledì 22/04/2015
Zhongting
9° giorno di esplorazione
Presenti: Jean, Xuelian, Daniele ed io
L’avvicinamento è breve, il nome della grotta è Xiangshuidong (Grotta del gallo). E’ un inghiottitoio con una discesa fangosa, che porta dritta alla riva sinistra orografica del fiume, che si sviluppa da un sifone avente quota e distanza compatibili con il sifone terminale di Shaowandong. Appena entro in acqua, per stendere le corde e fare il rilievo della portata, mi rendo conto che la corrente è decisamente più forte di quella di Shaowandong. Prendiamo i dati e usciamo. Jean e Xuelian parlano con un’allevatrice di vacche, la quale indica dei buchi più avanti. Troviamo Xiniudong (Grotta del rinoceronte), un altro inghiottitoio con lo stesso attivo a poca distanza dall’ingresso. Mentre torniamo verso la macchina, Xuelian ed io facciamo una gara di smorfie e ce la ridiamo, come neanche i bambini dell’asilo per la prima infanzia. Xuelian è molto incuriosita dalla cultura occidentale e fa fare a Jean da interprete per chiedermi se tutte le donne in Europa vanno dal chirurgo plastico, in particolare per farsi ritoccare gli occhi. Torniamo abbastanza presto alla base. Abbiamo tutto il tempo per fare un po’ di bucato e stendere la roba prima di lasciare Zhongting. Domani infatti, ci divideremo in due squadre: una andrà a Jinya, zona già vista nella spedizione precedente, ma con diversi luoghi di interesse in sospeso, e l’altra squadra andrà a Jiangzhou, zona di forte interesse e non ancora esplorata dal SoukaTeam. Ciascuna squadra esplorerà la rispettiva zona per 3 giorni, dopodichè ci ritroveremo tutti insieme a Fengshan per la conferenza stampa e i saluti ufficiali, poco prima del ritorno in Italia. A cena diamo quasi fondo alle ultime birre rimaste, offerte dai nostri amici speleo cinesi. Alla fine della serata, mentre qualcuno chatta con l’Italia, comunicando i primi risultati, qualcun’altro fa la restituzione grafica dei rilievi e qualcun’altro ancora gioca a shanghai con le bacchette cinesi. Marc mette sul computer i dati raccolti, la portata del fiume di Xiangshuidong è di 1050 l/s.
Giovedì 23/04/2015
Da Zhongting a Jinya
10° giorno di esplorazione
Le squadre sono fatte. Michele, Marco Z., Mimmo, Wuyun, Daniele ed io andremo con Marc a Jinya. Paola, Marco Gino, Gilles, Lilou, Cyann e Xuelian andranno a Jiangzhou con Jean e partono di prima mattina, subito dopo aver fatto colazione. Noi partiremo poco prima di pranzo. Marc, Daniele, Mimmo e Marco vanno a controllare qualche altro buco nelle vicinanze. Io e Michele restiamo alla base per portare avanti un po’ di lavori di restituzione grafica dei rilievi e per finire di dare una pulita alla sala che in questi giorni abbiamo usato come magazzino, studio, cucina e sala da pranzo. Al ritorno degli altri, carichiamo le macchine e partiamo. Restiamo bloccati nel traffico per circa 1 ora, a causa di un piccolo incidente tra un auto e un bus, per fortuna nulla di grave. Marc ne approfitta per completare il disegno dell’ultimo rilievo che ha fatto.
Arriviamo a Jinya, in una struttura simile ad una scuola, ma dagli arredi molto patriotici. Non essendo adibita a dormitorio, chiediamo se sia possibile cambiare luogo di permanenza senza arrecare un’offesa. L’alternativa è il piccolo albergo che aveva già ospitato il SoukaTeam nel 2012. Mentre attendiamo una risposta pranziamo nel cortile. Riso bianco, carne di maiale e qualche verdura. Il clima è umido, ed il cielo è velato di bianco. Così si presenta la “Terra senza ombra” di cui parlavano Marc e Michele nella precedente spedizione. Un paesaggio uggioso, molto diverso da quelli visti fino ad ora, ma pur sempre esotico e affascinante. Marco e Daniele scherzano con Mimmo per i suoi pantaloni rotti. I giorni scorsi Mimmo e Daniele hanno fatto le prime esplorazioni con ciò che avevano addosso, perchè il loro bagaglio era bloccato alla dogana. Mimmo in una delle prime grotte esplorate si era accidentalmente strappato i pantaloni e le mutande e adesso quando si siede con le gambe larghe… lascia poco spazio all’immaginazione. Terminato il pasto andiamo a vedere una grotta che ci è stata segnalata dalla nostra guida locale. Marc e Michele la rilevano fin dove è possibile la progressione in libera. Nel frattempo Mimmo, Marco e Daniele vanno a controllare se sopra al sentiero ci siano altri ingressi. Wuyun ed io restiamo in prossimità dell’ingresso noto ad aspettare Marc e Michele. Parliamo di Shaowandong e di un pastore che corre da mezz’ora dietro ad una capra tirandole dei sassi, nel tentativo fallimentare di riportarla insieme al resto del gregge, mentre la troupe televisiva ci filma senza riposo. Usciti Marc e Michele raduniamo il resto del gruppo e la guida ci porta a vedere le zone di assorbimento, la possibile origine dell’attivo di Shaowandong. Nel polje, sopra al quale passa il sentiero che percorriamo, è presente un enorme ingresso dal quale fuoriesce un flebile corso d’acqua. Ora è in periodo di magra, ma durante le piene questo polje è pieno di vita, come testimoniano le imbarcazioni in secca al lato dei piccoli moli di legno e le bellissime “Cheena Vala”, come vengono chiamate le reti da pesca cinesi con contrappeso, nell’unico altro posto al mondo in cui vengono utilizzate, a Kochi, nel sud dell’India. Continuando a camminare lungo il sentiero asfaltato che segue il fianco della montagna, ad una decina di metri di altezza sopra il fondo del polje, arriviamo ad una bellissima parete di calcare, completamente ricoperta da grandi scallops. Su un lato, sopra le nostre teste, sono ben marcati in rosso i segni dei vari livelli raggiunti dall’acqua. Proseguiamo fino alle zone di assorbimento, ovviamente ora sono piene di acqua stagnante. A vederele così, in effetti è difficile immaginare come da questo possa svilupparsi l’attivo di Shaowandong, eppure è da qui che nasce tutto. Torniamo all’ingresso del villaggio, dove avevamo lasciato le auto cariche dei nostri bagagli. Per questi giorni staremo nel piccolo albergo di Jinya. Ci dicono che non avremo l’acqua calda, per noi certamente non è un problema. Nel senso che nessuno di noi era intenzionato a farsi la doccia in questi tre giorni di permanenza. Ci sistemiamo nelle camere. Michele non è entusiasta, ha il brutto ricordo di una forte influenza che lo aveva colto proprio in questo albergo nella precedente spedizione, preferiva dormire sui banchi di legno della Casa del Popolo, con le bandiere del partito appese ovunque, ma presto se ne fa una ragione. Osservo la stanza…tutto sommato è abbastanza in ordine, c’è quello che serve: la base dei letti, un filo per stendere i vestiti umidi, una finestra che da sul villaggio, un ripiano d’appoggio e un bagno alla turca con un secchio da riempire con l’acqua per lo scarico. A me e Mic mancano due futon, che invece sono presenti nelle altre stanze. Marco mi dice che se voglio un futon mi cede il suo, anche perchè secondo lui probabilmente sopra questi futon è conservato più liquido seminale che in una banca del seme. Dopo questa eloquente spiegazione medica, Mic ed io prendiamo la saggia decisione di continuare a dormire sui nostri materassini e sacchi a pelo. Facciamo una cena sostanziosa a casa di un’ospitale famiglia locale. Torniamo all’albergo e facciamo le squadre per domani. Mic è fisicamente instancabile, ma non ama troppo fare per tanti giorni di seguito la stessa attività, preferirebbe fare un giro in esterna piuttosto che andare nuovamente sotto terra. Marc gli consiglia di andare sulle arenarie, perchè in questa zona è impossibile non trovare delle grotte. Perciò Michele, Marco e Mimmo faranno un giro in esterna a cercare nuovi ingressi. A differenza di Mic, io fisicamente sono un po’ provata, ma ho una gran voglia di andare in grotta, perciò preferisco andare in squadra con Marc e con noi ci saranno anche Daniele e Wuyun.
Venerdì 24/04/2015
Jinya
11° giorno di esplorazione
Cielo grigio, pioviggina. Non abbiamo tanto materiale a disposizione, cerchiamo di dividercelo equamente tra le due squadre, in base anche ai diversi obiettivi. Facciamo colazione, carichiamo le macchine e partiamo. L’auto si ferma al limite del caseggiato, prendiamo gli zaini e attraversiamo il polje di Shimahu. Cominciamo a salire per un sentiero ripido e scivoloso, la guida dice che ci porterà a vedere un grande pozzo. Continua a piovere e fa piuttosto caldo, perciò il poncho che indosso è abbastanza inutile, il sudore bagna ciò che non bagna la pioggia, mi ingombra e basta. Mi fermo a toglierlo e Daniele mi aspetta divertito dal mio buffo aspetto, mi scatta una foto che coglie tutta l’umidità di quel momento. La guida, riposata e senza zaino, non ci aspetta e non aspetta nemmeno Marc e Wuyun. Daniele ed io sbagliamo strada e, bagnati completamente, dobbiamo scendere e risalire un paio di volte fino ai bivi e seguire la voce di Marc poco più sopra di noi, prima di riusicre a trovare la strada giusta tra un’imprecazione e l’altra. Finalmente arriviamo in cima. Il sentiero continua in piano per un piccolo tratto erboso, fino ad incontrare le pareti verticali di calcare. La vista sul Polje da qua su ci ripaga tutta la fatica. Comincia a smettere di piovere. La guida ci porta alla base delle pareti. Ci sono 3 vistosi ingressi a poca distanza l’uno dall’altro. Ci conduce al primo, chiamato Nongluidong, nel quale ci aspettiamo di trovare il grande pozzo di cui ci ha parlato. Ci cambiamo ed entriamo, ma dopo poche battute di rilievo abbiamo un’amara sorpresa. Non c’è il grande pozzo e in più la grotta chiude in un cumulo di detriti. Ok, scartiamo il primo ingresso, ne abbiamo altri due. Usciamo e proviamo con il secondo un po’ più avanti. Questo và. Non c’è il grande pozzo fino ad ora, ma almeno continua e c’è aria. La guida, munita solo di una piccola luce frontale, senza casco né attrezzi e con scarpe dalla suola piuttosto liscia, ci segue a suo rischio e pericolo, scendendo e salendo sui brevi tratti di corda con il solo ausilio delle braccia. Finchè Marc, arrivati in cima ad un P30, dice a Wuyun di comunicargli che senza l’attrezzatura adeguata è impossibile per lui continuare la progressione. Così la nostra guida esce. Daniele arma la calata che ci porta ad una sala piuttosto grande. Continuiamo a rilevare, la corrente d’aria diminuisce. Cominciamo ad esplorare la grande sala, molto bella e concrezionata, con vaschette, stalattiti e stalagmiti e colonne altissime. Il DistoX supera gli 80 m di battuta da una parete all’altra. Seguiamo un passaggio alla nostra destra che ci porta in quella che sembra essere un’enorme galleria, della quale cominciamo a seguire la parete alla nostra sinistra. Con le nostre luci frontali non riusciamo a cogliere i dettagli e le reali dimensioni di questo ambiente. Possiamo solo farci un’idea e neanche troppo chiara di dove ci troviamo. Il DistoX fatica a dare le misure più lunghe. Qua dentro c’è da perdersi. Diverse volte non riusciamo più a vedere la luce di Wuyun tra i blocchi di roccia e le concrezioni. Marc è concentratissimo sul rilievo. Dopo ore che camminiamo e ci arrampichiamo tra i blocchi di frana nel tentativo di seguire la parete, Marc si ferma. Dice che stiamo girando attorno ad una stalagmite di 50 m di diametro. Alziamo le teste e, quella che sembrava una parete, si rivela essere in realtà una concrezione gigantesca, alta più di 40 m. Siamo come Alice nel Paese delle meraviglie, ciò che sembra non è. Questo è un luogo incredibile. Marc comincia a segnare i capisaldi con ometti di pietra e ad ognuno di questi assegna i numeri corrispondenti, scritti su pezzetti di carta. Andiamo ancora avanti per ore. Wuyun ed io approfittiamo delle brevi soste per spegnere le frontali e riposare qualche minuto. Continuiamo ad esplorare. Quella che inizialmente ci sembrava una grandissima galleria, è in verità una sala gigantesca. Troviamo alcuni passaggi laterali sui lati delle pareti, che portano a piccoli ambienti paralleli alla sala, con le colate concrezionali e le stalattiti che fanno da divisorio. Notiamo anche alcune finestre in alto, ma non si sente un filo d’aria. Dopo ore di esplorazione e 2 km di rilievo, Marc comincia ad avere un quadro più chiaro della situazione. Usciamo seguendo a ritroso le battute del rilievo, senza riuscire a ritrovare tutti i caposaldi che avevamo segnato. Sul disegno manca ancora una parte di 100×100 m. Domani torneremo con tutta la squadra per completare il rilevo e per scattare delle foto a questo vuoto così impensabilmente vasto. Usciamo che il sole è già calato da diverse ore, ci cambiamo e scendiamo verso il polje, dove ci aspetta già una macchina. Arriviamo a Jinya e ci rechiamo in una casa dove ci ospiteranno per cena. Entriamo nell’androne di una palazzina da una piccola porta di legno verde e ci dirigiamo verso le scale che portano ai piani superiori. Sulla sinistra nel sottoscala c’è una grande botola aperta, dentro alla quale si intravede un pavimento bagnato e fangoso. Ingenuamente penso ad un tubo rotto, ma appena passata la prima rampa di scale, Marc sorride e dice “Guarda cosa ci tengono dentro…”. Ci sporgiamo un po’ e vediamo un maiale grosso come un divano, che sguazza dentro alla botola. Pian piano che saliamo le scale verso la sala da pranzo, comincia a venir su anche il suo inconfondibile odore. Ci fanno accomodare attorno al tavolo e cominciano a portare le pietanze: riso al vapore, verdure e carne di maiale. Mangiamo tra un grugnito e l’altro. La scena è surreale ed esilarante, trattenere le risate è impossibile. Per fortuna non ci rimane male nessuno, anzi, la prendono a ridere anche i padroni di casa. Il popolo cinese, per come l’ho conosciuto in questo viaggio, è straordinario. I cinesi sono ospitali, molto umili e al tempo stesso determinati e sono sinceramente sorridenti, vivono senza macigni sul cuore.
Sabato 25/04/2015
Jinya
12° giorno di esplorazione
Presenti con me: Marc, Michele, Mimmo, Daniele, Marco, Wuyun e un altro ragazzo speleo cinese
Facciamo una doppia colazione. La prima all’italiana, con una bevanda che vogliamo chiamare caffè e dei biscotti, e la seconda alla cinese, decisamente più sostanziosa, con zuppa calda di verdure, tofu, carne e noodles. Oggi non piove, la giornata è calda e il cielo è terso. Abbiamo portato il sole nella “Terra senza ombra”. Carichiamo le macchine e partiamo. L’avvicinamento è di circa un’ora. Mentre ci cambiamo, descriviamo a chi non c’era ieri la bellissima sala che stiamo per andare a vedere. Mimmo suggerisce di chiamarla “Sala Marco Polo” e l’idea piace subito a tutti. Entriamo e arriviamo al suo cospetto. Ci dividiamo in 3 squadre, una che scatterà la foto dall’alto di un terrazzino, Marc e Marco, e le altre due sul fondo dislocate strategicamente con flash e faretti, io con Michele e Daniele con Mimmo. Wuyun e il nostro amico cinese fanno i soggetti. Tra di noi comunichiamo via radio, altrimenti sarebbe impossibile riuscire a coordinarci senza difficoltà a queste distanze. Pur essendo in alto, Marc riuscirà a catturare solo una piccola porzione della sala. Non serve essere un fotografo professionista, né un grande appassionato di scatti naturalistici, per capire che questa è una foto davvero complicata. Le pennellate di luce con i faretti, ci mostrano dei dettagli che sarebbero rimasti invisibili con l’uso delle sole luci frontali. Questa sala è un’opera d’arte della natura. Con grande fortuna e bravura del fotografo, la foto riesce bene al primo scatto. Completiamo il rilievo e facciamo qualche altra foto. Mimmo fa una risalita in arrampicata di una decina di metri, completamente in libera. La finestra alla quale arriva, porta ad un terrazzino, dal quale si accede ad un salto di un’altra decina di metri, che termina in un’altra saletta chiusa. Usciamo giusto in tempo per apprezzare i colori del tramonto. Torniamo all’albergo, facciamo i bagagli e ci mettiamo in viaggio per raggiungere il resto del gruppo a Fengshan. La spedizione è conclusa. Abbiamo rilevato più di 20 km di grotte, perciò Marco Gino dovrà rasarsi la barba. La Sala Marco Polo sembra essere l’ottava sala sotterranea più grande attualmente conosciuta al mondo.
Per quanto mi riguarda, è stata un’esperienza unica. Ho imparato tante cose nuove, conosciuto persone speciali e ho avuto la fortuna di esplorare dei luoghi che poche persone al mondo hanno il privilegio di poter visitare. Per me è stato realmente un privilegio e un onore poter partecipare a tutto questo.
Marc, Michele, Gino, Paola, Mimmo, Daniele, Marco, Jean, Xuelian, Cyann, Lilou, Gilles, Wuyun, tutti i ragazzi dei gruppi speleo cinesi per i quali mi vergogno tantissimo di non riuscire a ricordare i nomi, tutte le persone che ci hanno accolto e ospitato…
Xie xie. Grazie di cuore a tutti voi.
Francesca